Psicantria

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Ma i pazienti cosa dicono delle nostre canzoni?

Cosa pensano i pazienti delle canzoni della Psichiatria? Ridono, piangono, si offendono, si indignano…? E’ già capitato diverse volte dopo i concerti che qualcuno si avvicini e ci faccia questa domanda. D’altra parte avendo suonato per diverse associazioni e centri diurni è successo di frequente di avere pazienti, o meglio utenti, tra il pubblico. Con Cristian ne abbiamo parlato spesso di questa domanda e della possibile risposta. Da un certo punto di vista ci verrebbe da rispondere: ma cosa pensano i pazienti quando ascoltano De Andrè o Rino Gaetano, o Renato Zero? Ci sarà quello che si esalta, che si annoia, che si intristisce, magari che si arrabbia e spegne la radio. A nostro avviso è una domanda che non può avere una risposta univoca, perchè i pazienti sono persone come noi, con gusti musicali come i nostri, con la nostra stessa cultura musicale. Il fatto che nel nostro spettacolo vengano raccontate storie che li riguardano, a volte drammatiche, a volte ironiche credo ci stia con la realtà quotidiana che per fortuna può essere letta anche con gli occhi della fantasia, del paradosso, non solo con il rigido pensiero concreto. Vi faccio un esempio. Quando mi è venuto in mente di proporre a Cristian di scrivere la canzone Il cowboy bipolare mi sono immaginato di trasferire la storia di uno dei tanti pazienti affetti da depressione bipolare che ho visto in questi anni in un contesto assolutamente distante dal nostro, nel selvaggio west dei miei giochi (e sogni) di bambino. Nonostante l’ambientazione improbabile, che rende sicuramente il bipolare più simpatico e paradossalmente più umano, nel brano abbiamo cercato di includere elementi che rendessero il cowboy vicino a una persona bipolare dei giorni nostri, uno per intenderci che possiamo trovare in un centro di salute mentale o in un reparto di psichiatria. Mentre scrivevamo il testo mi è venuto in mente un paziente bipolare che avevo seguito in reparto per un grave stato depressivo, che nella precedente fase maniacale si era sposato con una donna conosciuta da un mese, organizzando un matrimonio faraonico con invitati anche dall’estero (lei era straniera), chiaramente indebitandosi dalla testa ai piedi. Ricordo che lui stesso mi raccontava questo aneddoto, come il successivo episodio maniacale in cui si candidò a sindaco del paese rischiando di vincere le elezioni, sorridendo e ironizzando sull’assurdità delle due situazioni. E’ chiaro che si tratta in realtà di situazioni drammatiche, di sofferenza travestita da euforia, ma quell’uomo mi fece capire come si può anche sorridere dei guai come dice Vasco. Sono convinto che quell’uomo non si scandalizzerebbe ascoltando Il cowboy bipolare. Un altro esempio: Lo schizofonico. L’ispirazione di questa canzone mi è venuta da un sogno che ho fatto un pomeriggio, quando, dopo una pennica, mi sono svegliato con una musichina in testa, che è poi il riff ripetuto del brano (in realtà ho poi scoperto che è una melodia klezmer che devo aver sentito precedentemente da qualche parte). Ma quella musichina era così insistente che mi è toccato scrivere una canzone per farla andare via. Oliver Sacks d’altra parte ci insegna nel suo bel libro Musicofilia che esperienze di dispercezioni uditive (percezioni senza oggetto) sono diffuse anche nei musicisti e molto spesso nella popolazione “normale”.  A mio avviso una canzone nata da una sorta di dispercezione poteva in qualche modo empatizzare con il mondo di voci delle persone affette da schizofrenia. Credo che le nostre canzoni, lungi dall’essere perfette o gradevoli a tutti, abbiano il pregio di essere autentiche, nel senso che raccontano con sincerità storie di mondi esterni ed interni, chiaramente viste con i nostri occhi. Quando le abbiamo scritte ci ha guidato senza dubbio il rispetto per i protagonisti della canzoni, ma nè più nè meno che se scrivessimo di nostri amici, di politica, di amore o di altri temi sociali. In questi due anni di suonate in giro c’è capitato di incontrare la mamma di un paziente affetto da psicosi paranoide che ci ha detto “mio figlio non è venuto perchè non ama che si scherzi di queste cose“, come ci è capitato di vedere gruppi di pazienti di un centro diurno uscire di sera per venirci a vedere, battere le mani al ritmo del La Psicantria e ringraziarci per la serata. Durante i concerti psicantrici succede quasi sempre qualcosa di emotivamente potente sia dentro di noi sia nel pubblico. Già il fatto che tante persone diverse (utenti, famigliari, operatori, studenti, curiosi…) ogni volta si riuniscano anche grazie alle nostre canzoni è per noi un piccolo miracolo, perchè come diceva Vinicius de Moraes La vita, amico, è l’arte dell’incontro.  Quindi cosa dovremmo rispondere alla fatidica domanda? Dipende…

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